L’architettura del limite.

Capitolo 1

L’inganno “watt guadagnati”: oltre il marketing del marginal gain

Il paradosso del “guadagno”.
Questa è una storia che mi affascina sempre, una di quelle storie che cambiano completamente la prospettiva su quello che crediamo di sapere.
Ma iniziamo dal paradosso fisico che si nasconde già nella semantica: il principio di conservazione dell’energia ci insegna che l’energia non può essere creata né distrutta, solo trasformata. Nel ciclismo questo significa che non puoi letteralmente “guadagnare” energia – puoi solo trasformarla più efficacemente o sprecare meno di quella che hai.
Ogni “marginal gain” è in realtà una perdita ridotta: meno resistenza aerodinamica, meno attriti nella trasmissione, meno dispersioni nella conversione da energia muscolare a movimento.
Il vero paradosso non è fisico ma economico: tutti sono disposti a spendere per “guadagnare”, ma quanti sono disposti a spendere per perdere un po’ meno?

classic newton cradle 3d

Tutti conosciamo Dave Brailsford (no non è vero molti non sanno manco chi è) e i suoi famosi “marginal gains” – quell’approccio che domina il ciclismo britannico per anni, l’idea che sommando miglioramenti dell’1% si possano ottenere vantaggi decisivi. Se oggi chiediamo “quale è la ruota più veloce” o quanti watt guadagno con la pulley Ceramic(ah) ecco, il responsabile è Sir Dave.

Ma la verità è che questa storia inizia dal capitolo sbagliato, e i veri protagonisti vengono dimenticati dal racconto ufficiale.
Come spesso accade.

I successi che celebriamo come prodotti dell’ottimizzazione incrementale nascono da breakthrough rivoluzionari che raramente vengono menzionati. Dietro ogni trionfo “marginal gain” si nasconde un architetto visionario che prima immagina e costruisce un paradigma prestazionale completamente nuovo. È tempo di raccontare la vera storia dei giganti dimenticati sulle cui spalle si costruisce l’impero britannico del ciclismo.

Mike Burrows: l’ornitologo che ridisegna la velocità

La storia inizia negli anni ’80 con un personaggio improbabile: Mike Burrows, un ornitologo di Norwich, appassionato di recumbent e framebuilder di indiscutibile talento.


Burrows non ha una laurea in ingegneria, non lavora per nessuna azienda ciclistica, non ha accesso a gallerie del vento o budget di ricerca. Ha solo una comprensione profonda di come si muovono gli uccelli nell’aria e l’intuizione geniale che gli stessi principi possano applicarsi al binomio ciclista-bicicletta.
Come framebuilder specializzato in “reclinate” progetta e realizza con l’aiuto di amici e tecnologie prese in prestito da altri settori decine di prototipi mi verrebbe da dire “radicali”.

Mentre l’industria ciclistica britannica rimane ancorata a tubi d’acciaio saldati e geometrie tradizionali (siamo alla metà degli anni ’80), Burrows immagina qualcosa di radicalmente diverso. Non una bicicletta più veloce, ma un sistema aerodinamico integrato dove il confine tra pilota e macchina si dissolve.
Come dice lui stesso: “Non ho coperto i tubi di una bici, quella è una fottuta bici.”

Ragionando in termini di “recumbent bike” il paradigma concettuale di Burrows è facilmente intuibile: la fusione del corpo con l’attrezzo genera un effetto dirompente, le reclinate superano i 100kmh – sono missili perché permettono al motore di esprimersi meglio e all’aria di rallentare meno.
Meno resistenza e stessa potenza ma “messa a terra meglio”.
Questo è il suo principio o, come oggi direbbe Dan Bigham, la fine da cui parte.

La WINDCHEETAH originale di Mike Burrows

Il design che ne risulta lo chiama Windcheetah – un monoscocca in fibra di carbonio (originariamente in schiuma e vetroresina) con forcellone monobraccio e forme scultoree – viene sistematicamente respinto dall’industria britannica. Raleigh, il gigante nazionale, lo “caccia dall’edificio ridendo”.

Il problema non è tecnico ma concettuale: Burrows sta proponendo un paradigma che l’establishment non riesce nemmeno a comprendere.

Il catalizzatore esterno: quando Lotus intercetta il genio

La svolta arriva da un settore completamente diverso quando Rudy Thomann di Lotus Engineering intercetta il progetto di Burrows. È una dinamica tipicamente britannica del “diritto di casta” – chi ha le connessioni giuste può accedere dove il talento puro non arriva. Lotus possiede la credibilità istituzionale che apre le porte dell’UCI, quelle stesse porte che rimangono chiuse per un framebuilder indipendente, per quanto geniale.

Quello che succede dopo è difficile da ricostruire ma una cosa è certa: la storia “vera” non è mai quella che scrive chi ne è stato il protagonista vincente.
La sostanza è che Burrows vuole “omologare” quel concept presso UCI già dal 1985 ma non ottiene nulla. Thomann insieme a Richard Hill, aerodinamico della Lotus, convince Mike che il “nome” Lotus può fare breccia nel legislatore e Mike cede (o vende, i retroscena della trattativa non sono chiari) i diritti di quel progetto a Lotus.

Qui il primo punto chiaro. Il game changer, il progetto concettuale e funzionale è il Windcheetah di Mike Burrows.

La Lotus 108 che ne risulta non è un miglioramento incrementale delle biciclette esistenti, è un salto di paradigma che ridefinisce l’intero concetto di ciò che una bicicletta da pista può essere.
Ma se vogliamo dirla tutta è un miglioramento incrementale rispetto alla Windcheetah originale. Anzi a dirla tutta se sia un miglioramento o meno non lo sapremo mai.

Il punto non è poetico, ma metodologico. Burrows non ottimizza parti esistenti, progetta un paradigma nuovo. Il salto semantico sta nella completa riconcettualizzazione di cosa debba essere una bicicletta. La differenza è ontologica, non tecnica.
E questo è tutt’altro che marginale.

Peter Keen: l’interprete visionario

Quando Chris Boardman porta la Lotus 108 alle Olimpiadi del 1992, il mondo del ciclismo rimane a bocca aperta.

La figura cruciale che completa il quadro è Peter Keen. Keen non è un architetto della prestazione radicale come Burrows – è un protagonista diverso e altrettanto raro: l’interprete che riconosce il genio architettonico e ne comprende le implicazioni sistemiche.

Keen è uno scienziato dello sport con una formazione in fisiologia, ma possiede la capacità di vedere oltre il singolo evento “catastrofico”. Quando lavora con Boardman sulla Lotus 108, capisce immediatamente che non sta assistendo solo a una vittoria olimpica, ma a una dimostrazione di principi prestazionali rivoluzionari che possono essere applicati sistematicamente.

Il successo di Boardman alle Olimpiadi del 1992 è la validazione spettacolare del genio di Burrows. E Keen vede qualcosa che altri non vedono: questo non è un evento irripetibile, ma la manifestazione di un approccio metodologico che può essere replicato e scalato.

Keen fa il salto semantico cruciale: trasforma l’evento irripetibile in metodologia replicabile. Keen sfrutta un breakthrough che Burrows ha già in sviluppo dagli anni ’80. La ricerca di Burrows sulle biciclette reclinate e la loro velocità superiore non è iniziata con la Lotus 108 – quella è solo la manifestazione più visibile di anni di sperimentazione su principi aerodinamici che sfidano le convenzioni ciclistiche.

È Keen a convincere la lotteria nazionale britannica a finanziare il World Class Performance Programme nel 1997. È Keen a creare quello che diventerà il famoso “Secret Squirrel Club” – il team di ricerca e sviluppo che caratterizzerà British Cycling. È Keen, come Performance Director, a costruire l’infrastruttura scientifica che permetterà l’applicazione sistematica dei principi scoperti da Burrows. Tutto questo succede sei anni prima che Dave Brailsford entri in scena.

Graeme Obree: il progettista di se stesso

Parallelamente si sviluppa un’altra rivoluzione con Graeme Obree, un ciclista scozzese non professionista che affronta la sfida del record dell’ora con un approccio che oggi chiameremmo “adattivo”. Invece di adattare il suo corpo a una bicicletta esistente, Obree riprogetta l’intero sistema partendo dalle sue caratteristiche dinamiche specifiche. “Old Faithful” non è una bicicletta standard migliorata – è la materializzazione fisica di un processo di co-design tra atleta e macchina.
In sostanza il minimo strumento che gli occorre per massimizzare le proprie potenzialità.

Le posizioni rivoluzionarie di Obree – prima la “tuck”, poi la “superman” – non nascono da test in galleria del vento (che all’epoca sono rari e costosi) ma da quella che lui chiama “immaginazione delle molecole d’aria”.
Obree visualizza mentalmente il flusso aerodinamico attorno al suo corpo e progetta posizioni che minimizzano la resistenza.

I risultati sono straordinari: quando Simon Smart testa finalmente le posizioni di Obree nel 2018, vent’anni dopo, scopre vantaggi di 30-50 watt rispetto alle posizioni standard – ordini di grandezza superiori a qualsiasi “guadagno marginale”.
Ma questo è un capitolo a parte.

Dave Brailsford: l’industrializzazione del processo

Quando Keen recluta Dave Brailsford, non sta semplicemente passando il testimone. Sta consegnando un sistema già funzionante. Brailsford non inventa i principi sottostanti ma li trasforma in metodologia replicabile e scalabile, applicando l’ottimizzazione incrementale al paradigma prestazionale superiore che Burrows ha immaginato e Keen ha sistematizzato.
Insomma li rende replicabili e comunicabili e dunque vendibili.

Dalla nomina di Brailsford a Performance Director nel 2003 ai trionfi olimpici di Pechino 2008, la macchina creata da Keen raggiunge la sua massima espressione.

La cronologia è cruciale:
1985 Burrows crea il paradigma
1992 Boardman vince l’Olimpiade di Barcellona
1997 Keen lo sistematizza
2003 Brailsford lo industrializza
2008 il sistema raggiunge l’apice prestazionale.

Brailsford trasforma quel sistema in macchina vincente attraverso l’applicazione rigorosa dell’ottimizzazione incrementale.

La deriva del sistema

Sir David Brailsford a cavallo della “marginal gain theory” e alle Mission “vincere o andare a casa” di British Cycling diventa il “guru” della (ri)nascita del ciclismo vincente britannico.
E tutto grazie al britannico ingegneristico valore aggiunto del guadagno marginale.
Ma è vero?

Brailsford non è solo a capo di British Cycling ma anche della sua estensione World Tour, quel TEAM SKY che rappresenta una apparente anomalia nel sistema ciclistico internazionale. Alcuni (tra cui Peter Keen stesso) lo vedono più come una riqualificazione di un modello finalizzato alla vittoria “a tutti i costi” e a Keen questo non sta proprio bene.
C’è già stato un modello, un sistema, un programma che fa del concetto di “a tutti i costi” un mantra incrollabile.
Si chiamava “US Postal” e a Keen, che è abituato a lavorare insieme all’uomo come con Boardman, quel sistema non piace.

Keen dichiara di essere “addolorato” per le voci dopo i giochi di Rio 2016 e che ci sono “lezioni da imparare” per la British Cycling e il Team Sky. In un’intervista chiede una “distinzione più netta” tra British Cycling e Team Sky, aggiungendo che il rapporto tra i due enti è “troppo stretto”, ha “avuto un costo” e i “rischi di quella confusione sono ora messi a nudo da ciò che sta emergendo”. Si auspica la fine della presenza di medici interni alle organizzazioni sportive (leggi squadre), in un contesto di crescente preoccupazione per l’uso di esenzioni per uso terapeutico (TUE) per sostanze vietate e chiede “una spiegazione migliore” da parte del Team Sky sulla controversia sul TUE metodologicamente utilizzato dal Team SKY.
Ma da Brailsford quei chiarimenti non arrivano mai.

La testimonianza dell’insider: quando l’atleta smonta il sistema

Quello che rende questa storia ancora più incredibile è quello che succede nel 2017.
Bradley Wiggins – vincitore del Tour de France 2012 e di otto medaglie olimpiche, simbolo stesso del successo marginalista – demolisce pubblicamente la filosofia che doveva averlo reso campione: “Penso che sia un mucchio di sciocchezze, se devo essere onesto. Molte persone ci hanno fatto un sacco di soldi e David Brailsford l’ha usato costantemente come suo biglietto da visita, ma io ho sempre pensato che fossero stronzate”.

Non si ferma alla critica del metodo, attacca direttamente l’attribuzione dei meriti: “A volte è quasi irrispettoso per queste persone arrivare e dire: ‘Sì, è perché lo abbiamo fatto dormire su questo certo cuscino, o ha bevuto questa certa bevanda prima di questa gara’.” La sua conclusione è lapidaria: “Alla fine, si tratta della tua capacità e se sei un atleta migliore dell’altro o no.”

Braldey Wiggins wins the Mens Olympic Time Trial

E in questo Keen è stato chiarissimo già anni prima: “Oggi c’è più bisogno che mai di spiegazioni. Quando guardo persone come Jason Kenny o Dame Sarah Storey, vedo storie speciali perché parlano di persone comuni che hanno fatto cose straordinarie.
Non ho mai avuto la sensazione che ciò che ci hanno fatto vedere non fosse assolutamente autentico. Ma quando c’è confusione e dubbio su uno sport ad altissimo livello, legato a un programma di cui fanno parte, la mia più grande paura è che i successi di persone come loro vengano avvolti nell’ombra. Questa sarebbe una tragedia assoluta”.

Sia pur Sir Bradley sia noto per il suo carattere estremo questa non è critica esterna, è una confessione dall’interno.
Il simbolo stesso del successo marginalista dichiara che il sistema che doveva averlo creato è “un mucchio di sciocchezze”.

Il pattern generazionale: fenomeni che vincono ovunque

Guardando i medaglieri olimpici, emerge un pattern che supporta la tesi di Wiggins.
La “generazione d’oro” britannica – Hoy, Kenny, Wiggins, Thomas – forse non è un prodotto di sistema “marginale”, ma una convergenza statistica di talenti eccezionali.

Chris Hoy: 6 ori olimpici in discipline diverse, dal kilo al keirin al team sprint. Un atleta di questa versatilità trascende qualsiasi ottimizzazione specifica. Jason Kenny: 7 ori olimpici, predominanza sia nel team sprint che nelle discipline individuali. La sua carriera inizia prima del pieno sviluppo dei “marginal gains”. Geraint Thomas: Medagliere che spazia dalla pista (pursuit) alla strada (Tour de France). Il talento che si adatta al contesto, non il contesto che crea il talento.

Il test decisivo è la longevità: questi atleti continuano a vincere anche quando altri team copiano le metodologie britanniche. Se i marginal gains fossero la variabile determinante, la loro diffusione dovrebbe livellare il campo. Invece, la superiorità di questi atleti persiste – suggerendo che il fattore X sono loro, non il sistema.

Il declino post-2016 del ciclismo britannico conferma questa lettura.
Nonostante decenni di perfezionamento metodologico, i successori di quella generazione non replicano quei livelli di successo.
Il sistema rimane, i metodi vengono affinati, ma i risultati diminuiscono. Questo è esattamente quello che ci si aspetta quando l’ottimizzazione incrementale esaurisce il potenziale del “materiale umano” eccezionale su cui opera. I marginal gains funzionano perché hanno atleti dal potenziale straordinario da ottimizzare. Senza quel potenziale di base, l’ottimizzazione diventa sterile affinamento di talenti mediocri.
Dal 2017 in poi British Cycling sembra annebbiata, alla ricerca di un nuovo salto semantico che il modello sembra non riuscire ad accettare, a gestire. La stessa rottura con Dan Bigham e il suo progetto (radicale) KGF (poi diventato HUUB Wattbike) è sintomatica di una intenzione di tutela e difesa del forte ma di una simultanea coscienza che sia necessario un nuovo evento catastrofico per ottimizzare ancora.

Il pattern ricorrente: cross-contamination e visione sistemica

Analizzando questi casi, emergono elementi comuni che caratterizzano l’innovazione architettonica:
Cross-contamination disciplinare: Burrows viene dall’ornitologia, Lotus dalla Formula 1, Keen dalla fisiologia. L’innovazione architettonica spesso arriva dall’applicazione di competenze sviluppate in domini diversi. Tutti e tre pensano in termini di sistemi integrati piuttosto che componenti isolati. Vedono correlazioni e interazioni che sfuggono agli specialisti settoriali.


Le loro innovazioni vengono inizialmente respinte o ostacolate dall’establishment, che le percepisce come minacce al paradigma consolidato.
In un sistema consolidato le “rotture” vengono accettate solo dopo che risultati incontrovertibili ne dimostrano la superiorità e molto spesso la struttura di controllo ha acquisito una tale autorevolezza (o forse sarebbe meglio dire autoreferenzialità) che l’ammissione di inadeguatezza risulta inaccettabile.

L’architettura dell’ignoto

Se torniamo a Burrows forse capiamo che l’ottimizzazione funziona solo quando viene applicata a paradigmi rivoluzionari. I marginal gains di Brailsford sono potenti perché operano sul paradigma superiore che Burrows ha immaginato e Keen ha sistematizzato.

Qui il punto: confondere l’ingegneria con la scienza.
L’ingegneria misura, simula, calcola, dimensiona, ottimizza l’esistente (o il nuovo) attraverso addizioni percentuali – 1% qui, 2% là, fino ad arrivare a miglioramenti che sulla carta sembrano significativi.
È riproducibile, misurabile, vendibile. Ma non è scienza.
La scienza non si ferma alle addizioni, al calcolo, alla misura anche se complessa.
La scienza è architettura dell’ignoto, è progettazione del possibile in funzione delle conclusioni attese.
È il coraggio di immaginare paradigmi che non esistono ancora.

Burrows fa scienza quando osserva gli uccelli o le “recumbent” e immagina come applicare quei principi alle biciclette. Brailsford fa ingegneria quando confronta biciclette e seleziona soluzioni in funzione di misurazioni comparative.
Entrambi necessari, ma in sequenza: prima l’architetto progetta il possibile, poi l’ingegnere lo perfeziona. Il problema nasce quando confondiamo i ruoli e crediamo che sommando percentuali si possa continuare a “migliorare” per sempre..


La vera innovazione sta nel coraggio di immaginare paradigmi completamente nuovi e nella saggezza di riconoscere intuizione quando lo si vede “oltre” come direbbe il buon Servini della Gang. “Oltre il dubbio ed il vuoto, oltre il silenzio e ancora più in là”.

Il tempo è di andare oltre l’ingegneria del dettaglio per cercare discontinuità.
Con metodo scientifico, ma ricordando che la scienza vera è progetto del futuro, non ottimizzazione del presente.

Gli architetti nascosti ci insegnano che dietro ogni “marginal gain” si nasconde sempre un evento rivoluzionario.

E questo vale non solo per il ciclismo, ma per ogni campo della performance umana.
O forse vale sempre.