LINEA di PARTENZA

di Romolo Stanco

“Performance Manifesto” nasce da un’esigenza radicata nella mia esperienza personale e in un confronto continuo con professionisti, appassionati del settore, amici e nemici con cui ho condiviso il percorso che ha portato a questo (nuovo) inizio.

Erica Marson e Romolo Stanco di TOOT Engineering alla Sei Giorni di Pordenone UCI Classe 1

L’esperienza di oltre dodici anni nel mondo della progettazione e realizzazione nel mondo “biciclette” mi ha permesso di osservare come questo settore sia dominato da due tendenze principali: da un lato, un’industrializzazione spinta, tutto sommato di modello taylorista in cui il prodotto viene realizzato in serie con attenzione alla massimizzazione del profitto nel processo produttivo e venduto quasi esclusivamente attraverso un’immagine costruita attorno a brand, testimonial e marketing; dall’altro, un attaccamento alle tradizioni artigianali, in cui il “Made in Italy” e la maestria artigiana vengono giustamente esaltati, ma spesso si plafonano di fronte alle mode imposte dalle “major” e prive di un vero e proprio spirito innovativo o quantomeno di spinta verso una riconfigurazione radicale di quanto la tradizione ha insegnato.

“Non l’ho mai fatto per soldi, il mio approccio è sempre stato guidato dalla passione per l’intenzione di superare un limite, di lasciare un segno come punto d’inizio per qualcosa di diverso, magari, non necessariamente, migliore, per l’esplorazione di nuove possibilità tecniche e creative. Il “Performance Manifesto” non nasce dall’ambizione di costruire un caso letterario, un’impresa di successo o di creare un modello di business alternativo. E’ solo la concretizzazione di un pensiero che molti silenziosamente condividono e che, come naturale, altrettanti rumorosamente disprezzano”

The Dead Kennedys

Nel settore racing dove la ricerca e la sperimentazione sono funzionali alla prestazione nessuna fase può né deve essere limitata da processi produttivi o tecnologie obsolete.
La tecnologia evolve rapidamente: ciò che due anni fa era impossibile, oggi è considerato normale in alcune parti del mondo. Il “Performance Manifesto” parte proprio da questo concetto di indipendenza dal processo, per porre al centro l’individuo, l’idea, e la necessità di sperimentare, magari sbagliare e tentare di innovare continuamente, senza essere legati a logiche di profitto o produzione in serie.

Colin Chapman con il suo team LOTUS RACING

Il manifesto si radica nella convinzione che l’indipendenza creativa e l’intuizione debbano tornare a essere al centro del processo progettuale. Questo significa liberarsi dai vincoli imposti da tecnologie obsolete e investimenti industriali legati alla conservazione di supply chain interne che spesso finiscono per soffocare l’innovazione. Effettivamente il modello industriale “tradizionale” nel processo di produzione di bici e componenti non è più sostenibile. Delocalizzazione e delega della produzione privano le aziende del controllo su qualità, tempi e sviluppo dei prodotti a favore della massimizzazione del margine industriale. Tuttavia alcuni virtuosi – per molti coraggiosi – manifestano intenzione di riportare la filiera a casa: in Italia, in Europa, negli USA. Ma siamo davvero certi che muovere geograficamente un modello obsoleto rappresenti una golosa e virtuosa opportunità? A una osservazione meno superficiale sembra che gli autori di questa rivoluzione autarchica vivano in una cristallizzazione del modello pericolosa e miope.

È evidente tuttavia che le operazioni finanziarie e di investimento si basino su “case study” e razionali che confrontano casi concreti, che ottimizzano modelli di business e finanziari, che lavorano sul fine tuning della sostenibilità dell’investimento. Pochi si chiedono se invece sia proprio il modello ad avere le ore contate, un modello in cui le innovazioni dei processi automotive degli anni ’70 come il “just in time” o logiche di “open innovation” non sono mai arrivate, procedendo, in stile ’80s, alla presentazione di collezioni “model year” caratterizzate da cataloghi chiusi e dalla gestione del cliente/utente come soggetto passivo.

Toyota modello di produzione "Just in time"

Altri settori stanno vivendo una profonda rivoluzione copernicana di significato all’insegna dell’unico e del personalizzato non più intesi come segni di lusso ma come opportunità di ampliare la soddisfazione dell’utente finale.

Oggi, ad esempio, la stampa 3D e la manifattura additiva stanno rivoluzionando il modo in cui progettiamo e realizziamo “cose”, permettendo una personalizzazione senza precedenti. Anche una tazzina da caffè può avere una identità singolare ed esistere solo in funzione di chi la utilizzerà.

Tazze stampate in 3D con tecnologia FDM in materiale eco compatibile e camera di controllo della temperatura – Design Romolo Stanco – Collezione privata

Questa tecnologia, in continua evoluzione, rappresenta solo uno degli strumenti che possono liberare il processo creativo da vecchi schemi, consentendo di realizzare qualcosa di veramente nuovo e rivoluzionario. Quello che tuttavia è rilevante è che la tecnologia è funzionale al cambio semantico che il prodotto ha assunto negli ultimi dieci anni. Se banalmente negli anni 90 bastava una palette di otto colori, quattro materiali interni e pochi accessori per personalizzare un’auto, oggi non basta un configuratore con opzioni pressoché illimitate spingendo l’utente a trovare soluzioni di personalizzazione al di fuori delle proposte dell’industria. Se sia una intrinseca esigenza culturale del nuovo millennio o la risposta generata da uno stimolo a distinguersi (ricordate le incisioni laser personalizzate sugli iPad nel 2010?) poco importa.

La sostanza è che la tendenza a distinguersi che Nike alla fine dello scorso millennio aveva intuito con la personalizzazione delle scarpe con una varietà di opzioni sempre più ricca sposta l’attenzione dalla produzione di massa alla personalizzazione di massa.

Scarpe “Custom by me” di Nike


Questa “esigenza” più o meno attiva ha reso possibile per chiunque possedere un paio di scarpe uniche, progettate secondo le proprie preferenze. Le tecnologie digitali e di processo rivolte a permettere di modificare l’atto tecnico produttivo con input personalizzati e sempre differenti hanno alimentato nuove opzioni e consentito di rendere in molti settori e prodotti il custom come un nuovo standard. Esempi che rendono chiaro come diversi settori industriali stiano de-materializzando non solo stock, modelli e magazzini ma perfino i semilavorati e i processi di filiera.

La tendenza è quella di polverizzare quanto più possibile gli elementi che compongono un oggetto/prodotto per poter procedere a “costruirlo” solo quando una richiesta con “needs” precisi e individuali è seguita da un processo di progettazione (professionale, adattivo, auto-generato) e da una produzione “tailor made” dedicata. 

Sistema di progettazione parametrico HORAI ® basato su acquisizione in scanning 3D dinamico dell’atleta

Quella che il PERFORMANCE MANIFESTO viene definita “Produzione Sovversiva” risponde proprio a questo cambio di paradigma e istruisce un modello che antepone personalizzazione e customizzazione di ogni componente in funzione del singolo utente (e della massimizzazione della performance che cerca) andando oltre la semplice scelta di un colore o di un design, fino a includere modifiche che rispecchiano le preferenze individuali, le esigenze funzionali o l’identità finale delle aspettative e delle intenzioni del singolo progetto.

Il tentativo di portare questo tipo di approccio a chi è appassionato, a ogni livello, del ciclismo e della bicicletta è il mio impegno, il mio contributo alla passione per questo sport.

Mike Burrows, il visionario progettista della LOTUS 108

BARCELONA- SPAIN , JULY 28 1992 : Chris Boardman of Great Britain in action on his Lotus Superbike during the 4000 metres Individual Pursuit final in the Velodrome at the 1992 Olympic Games in Barcelona, Spain. Boardman won the gold medal on July 28 1992. (Photo by David Cannon/Getty Images)


“Arrogante?
Può darsi, nessuno obbliga all’understatement e a cercare l’applauso della platea.”

Diversamente da qualche anno fa però non credo che questo approccio sia strettamente legato al mio modo di vedere le cose. Come spesso mi è accaduto, dietro al muro conservatore e reazionario dello “status quo” si fanno avanti nuove figure pronte a portare avanti le proprie idee senza paura (o almeno con una certa convinzione). Progettisti come Richard McAinsh, ideatore e fondatore di KuCycles o atleti professionisti come l’olandese Jan Willem Van Schip portano avanti un metodo che antepone la sperimentazione in funzione della prestazione individuale alle regole di consenso o all’opinione comune.

Jan-Willem Van Schip due volte campione del mondo su pista ha contribuito allo sviluppo del manubrio da strada ASHAA RR

Se vogliamo è un approccio “punk”, ma proprio quando un caso isolato diventa un segnale che un panorama di riferimento sta “cambiando genere” o cercando modi e obiettivi per esprimersi in modo diverso ecco che ciò che appare ai più strano, diverso, a volte perfino presuntuoso si configura come un’alternativa.
E le alternative possono piacere o essere odiate, possono crescere o morire, possono evolversi o svilupparsi con sfumature differenti. 

C’è un parallelismo profondo tra questo approccio e la mia esperienza nel mondo della musica ascoltata e suonata. Chi nella storia della musica ha scelto di suonare rock’n’roll, punk o creare musica elettronica estrema quando il “mercato” radiofonico chiedeva altro, lo ha fatto con le sue capacità, i suoi suoni, le sue intenzioni.

La copertina di London Calling dei Clash

Questa è una forma d’arte (o di creatività, ma attenzione filtrata e sviluppata grazie a capacità tecniche e a lavoro) che mi appartiene, qualcosa che ho fatto per anni. Non posso aspettarmi che piaccia a tutti; anzi, la mia musica potrebbe suscitare reazioni diverse: potrebbe piacere, potrebbe muovere, potrebbe far discutere, oppure potrebbe non piacere affatto. Ma la qualità di un’opera autentica non si misura attraverso il consenso.

Non è importante se il pubblico approva o se i critici apprezzano. Quello che conta è l’intenzione, la convinzione personale, e la volontà di lasciare un segno con una cifra precisa. Non suono per ottenere più applausi, per vendere più dischi, o per avere più download della mia musica. Lo faccio perché qualcuno deve farlo, perché nel tempo, nella storia, qualcuno si è sempre preso la responsabilità di esprimere un modo diverso di interpretare le cose.

E così non posso pretendere che il manifesto piaccia a tutti. Come nella musica, dove l’artista esprime la propria verità senza aspettarsi l’approvazione unanime, anche il manifesto può suscitare reazioni contrastanti. Ma è proprio in questo dissenso che risiede la forza di ogni forma d’arte autentica. Quando si cerca di fare qualcosa di radicato in una convinzione personale, che nasce da un’esperienza profonda e da principi solidi, non si cerca il consenso, ma l’autenticità.

Massive Attack in concerto a Mantova (Italia) nel 2024

Non dico che un percorso legato a sviluppare i contenuti del manifesto non possa rappresentare un’occasione per chi vuole essere parte di un progetto imprenditoriale di sviluppo o di business.
Dico che io non sono la persona giusta per farlo.


Tuttavia, nello spirito della ragnatela di competenze che il manifesto intende promuovere, sarebbe interessante coinvolgere figure che vogliano rendere questo sistema un approccio concreto al business, ridefinendo il mercato in funzione di un vero pubblico senziente, capace, da rispettare e includere come protagonista nelle intenzioni e nelle finalità che le nostre azioni intendono perseguire.

Piatto di stampa 3D in acciaio del manubrio ASHEETA (Protolab Università di Pavia)

Il “Performance Manifesto” non vuole essere un punto di riferimento assoluto o un manuale di istruzioni per il futuro. Si pone piuttosto come origine di ipotesi, di approcci che possono divergere, ma che condividono una base comune: l’indipendenza creativa, la centralità dell’atleta e dell’appassionato, e l’importanza di lasciare un segno, anche a costo di suscitare disaccordo.

Il manifesto è un atto dovuto a sé stessi, una dichiarazione di intenti, una responsabilità che qualcuno deve prendersi per interpretare le cose in modo diverso, accettandone le conseguenze”.

Progetto in digital twins della bici pista X23 di TOOT RACING sviluppato intorno al controllo parametrico della scansione dinamica dell’atleta.

Lo faccio perché qualcuno deve farlo, e perché nel tempo, nella storia, qualcuno si è sempre preso la responsabilità di lasciare un segno, di scrivere un nuovo modo di vedere e interpretare il mondo”.