EPISODIO 4: “Ti batto, Piggy”
Ore 17
I primi giri sono una rivelazione diversa da quella che aveva mai provato su una bicicletta: Charlie sta riscoprendo la purezza delle sensazioni non mediate dalla tecnologia ossessiva. Ogni pedalata è sua, non del sistema. Ogni watt è espresso per il piacere della velocità e della sfida personale, non per soddisfare aspettative esterne o parametri ingegneristici prestabiliti. D’altra parte niente e nessuno conta quei watt, solo la velocità decide, spazio fratto tempo, nulla di più.
Non ricorda neppure di essere partito, sente il rumore della catena, le ruote ululare nel casco.
Gli piace.
“SEDICIESEI”
“SEDICIEQUATTRO”
I numeri sono diversi da quelli che si aspettava, sono urlati come il dolore che inizia a sentire nelle gambe ma non deve leggerli su uno schermo, c’è una persona a urlarglieli mentre la sua testa non può che concentrarsi sui calcoli: un uomo che spinge la matematica oltre i suoi limiti teorici. “Sedici e tre, sedici e quattro – CdA di 0.188 m², Crr di 0.0035, efficienza della trasmissione del 96%, densità dell’aria di 1.204 kg/m³ sto andando forte, forse quel record a Pippo non lo tolgo ma Dan…” Charlie sorride nel buffo casco appuntito, sta facendo qualcosa che la fisica moderna dice essere quasi impossibile: sta sfidando un record del suo tempo usando tecnologia inferiore.
Oppure semplicemente diversa.
Ma non è la tecnologia che fa la differenza. È l’assenza di pressione, l’eliminazione di quel peso psicologico che ha trasformato la sua prestazione in un processo di analisi maniacale piuttosto che in un’espressione pura di talento atletico.
Giro 20: 16”2 (55,6 km/h)
Ferrari osserva i parziali con l’occhio clinico di chi ha visto migliaia di atleti spingersi oltre i propri limiti, ma c’è qualcosa di diverso nel modo in cui Charlie sta affrontando questo tentativo.
Charlie sente “sediciedue” forte, forse troppo forte, sta pedalando con una fluidità che ricorda i grandi campioni degli anni ’80 e ’90, quelli che corrono per istinto più che per algoritmi, che ascoltano il proprio corpo più dei computer. La sua posizione sulla Colnago blu è naturale, non forzata dalle geometrie aerodinamiche estreme che nel 2025 trasformano i ciclisti in contorsionisti al servizio dei numeri definiti da ingegneri seduti dall’altra parte del vetro nella galleria del vento.
“Come ti senti?” gli grida Ferrari durante il passaggio del ventesimo giro.
“Come mi sento? ma che domanda è” si chiede Charlie nel Bell nero. Ma in realtà lui si sente bene.
“Free” risponde Charlie senza fiato ma con un sorriso che Ferrari non ha visto su un ciclista da molto tempo. “Mi sento libero”.
È vero. Per la prima volta da anni, Charlie sta pedalando senza il peso delle aspettative esterne, senza la paranoia dei marginal gain, senza quella riduzione dell’essere umano a una serie di metriche che ha caratterizzato la sua carriera nel sistema British Cycling.
Qui, esiste solo lui, la bicicletta, la pista e il cronometro.
È la sua sfida: niente telemetria, niente analisi in tempo reale che trasformano ogni sua pedalata in un dato da ottimizzare.
La sua potenza non è mai stata il problema. Il suo talento non è mai stato in discussione.
Non sei medaglia olimpica con la gamba di un buon amatore, non diventi Campione del Mondo, non resti pilastro del quartetto britannico per otto anni senza aver mai corso in World Tour, non vinci dal 2018 a oggi (quale oggi poi?) con 300W di FTP. E la sua mente torna a quella finale contro Ivo a Minsk, 4’12”. “Che avventura” sorride spingendo più forte, che vittoria con i ragazzi, quella finale con suo fratello Jonny e Dan… “cazzo, te lo tolgo quel record Dan…”
Giro 30: 16”3 (55,3 km/h)
A metà tentativo, Charlie ha raggiunto una velocità media che nel 2025, con tutta la tecnologia moderna, ha faticato a mantenere.
Ma qui, con una Colnago del 1994, ruote FIR pesanti, pneumatici Vittoria primitivi, una tuta in Lycra semplice e un casco Bell che sembrerebbe un oggetto da museo nel futuro, sta volando.
Non è magia, è psicologia applicata alla fisiologia. Il suo motore biologico è sempre lo stesso – lo stesso cuore, gli stessi polmoni, gli stessi muscoli. Ma la mente è diversa, libera, sgombra da tutte quelle sovrastrutture mentali che il sistema moderno ha costruito intorno alla prestazione.
Ferrari ogni tanto si ferma per osservare Charlie con quello sguardo clinico che ha perfezionato in decenni di analisi della performance umana. C’è qualcosa di diverso nel modo in cui il britannico si muove sulla bicicletta, una naturalezza che contrasta con la tensione meccanica dei moderni specialisti dell’ora che nessuno nel velodromo di Bordeaux ha mai visto.
“È bello” dice una signora nel pubblico.
“È rilassato,” mormora Ferrari tra sé, prendendo nota mentale di un fenomeno che ha osservato spesso nei grandi campioni del passato ma che è diventato sempre più raro nell’era della scienza dello sport spinta all’estremo.
I tempi continuano a migliorare con una progressione che sfida ogni logica della fisiologia moderna.
L’equazione che governa la sua prestazione è sempre la stessa:
P × η = (0.5 × ρ × v² × CdA) + (g × m × Crr × v)
Ma Charlie si è trovato per un gioco del destino a non beneficiare del miglioramento di tutte le variabili tecnologiche e sta dimostrando che la variabile più importante è quella che non appare nella formula: la componente umana, quella dimensione mentale che trasforma i watt teorici in watt reali, che converte il potenziale biologico in prestazione effettiva. Quel pezzo che nessuno ha visto, quell’uomo col gilè blu che si è preso cura di lui, quel meccanico che stava a guardarlo con orgoglio mentre si scaldava sui rulli.
Quelle persone, quell’incantesimo complesso e privo della freddezza dei numeri aveva dato forma a un risultato, perché lo volevano, lo volevano tutti per lui, per quella bici in metallo, per quelle ruote pesanti come macigni. Nessuno aveva calcolato quanti chilometri avrebbe potuto o dovuto percorrere ma tutti li dentro si erano impegnati per quel gran finale che ogni bel film merita.
L’uomo che da forma alla propria prestazione, alla propria posizione in bici, che “sente” l’aria e trova lo stratagemma per limitarne la crudeltà: “come Obree” pensa tra sé Charlie “devo scendere a patti con la realtà e dare tutto”. Il risultato, il numero, i chilometri percorsi in quest’ora di un tempo che non conosce saranno una conseguenza, la conseguenza di attimi progettati insieme al proprio corpo, a quel telaio di acciaio rumoroso e quasi invisibile.
Charlie inizia a fare calcoli mentali: Se mantiene questa progressione, se riesce a sostenere questa media per i restanti quindici giri, può avvicinare i 55 km/h, superarli anche.
Con una Colnago di ferro “Ti batto Piggy, stavolta ti batto”.
È impossibile secondo tutti i parametri scientifici che conosce. Ma sta accadendo sotto al suo culo.
Dieci minuti alla fine e Charlie sta ancora accelerando. Non è un’accelerazione fisica – il suo corpo ha raggiunto da tempo il plateau fisiologico della potenza sostenibile – ma è un’accelerazione mentale, una liberazione progressiva da ogni riserva psicologica. I tempi continuano a migliorare con una costanza che sfida ogni conoscenza fisiologica che possiede. In teoria Charlie dovrebbe iniziare a pagare il prezzo dell’accumulo di lattato, della fatica neuromuscolare, del debito energetico.
Invece sembra che stia entrando in una dimensione diversa, in quello stato che i grandi atleti chiamano “the zone” ma che raramente si manifesta in condizioni così estreme.
Charlie ha superato la barriera dei 55 km/h di media. Sa eguagliando prestazioni che nel futuro richiedono anni di ricerca sui marginal gain, tunnel del vento, analisi computerizzate della posizione aerodinamica e migliaia, migliaia di Euro di investimento.
Ma la cosa più incredibile non sono i numeri – sono i suoi occhi. Ferrari, che ha osservato centinaia di tentativi di record, ha imparato a leggere negli occhi degli atleti il momento in cui iniziano a cedere, quando la volontà inizia a negoziare con la fatica. Negli occhi di Charlie non c’è traccia di quella negoziazione. C’è solo una determinazione serena, quasi giocosa.
Quando suona la campana che annuncia l’ultimo giro, Charlie non sa quale sia la distanza percorsa e onestamente capisce che non gliene frega un cazzo. Probabilmente il record di Dan resisterà, di poco ma non gli dispiace averci provato. “Dan è un amico, sorriderà vedendo che non l’ho battuto e sorriderà se lo batterò ma comunque ci berremo una birra insieme come insieme abbiamo sfidato e battuto i giganti”.
Charlie si rende conto in quell’ultimo infinito giro che non ha bisogno di numeri per sapere che sta facendo qualcosa di speciale. Lo sente nel modo in cui l’aria scivola sul suo corpo, nel modo in cui la Colnago risponde a ogni sua pedalata, nel modo in cui il pubblico francese – di solito così riservato – ha iniziato a gridare di incoraggiamento.
Charlie rallenta, il traguardo è passato non c’è più nulla da battere ora, il silenzio del velodromo rotto solo dagli applausi del pubblico e dal suono delle FIR che rotolano sul legno. Non ha battuto nessun record mondiale, non ha riscritto i libri di storia del ciclismo. Ma ha fatto qualcosa di più importante.
Ha dato tutto.
